Piergi, quel museo architettonicamente lo trovo molto, molto interessante (…bello è una cosa diversa), tuttavia, ogni volta che lo vedo un po’ mi arrabbio: la prima volta che ho visto l’immobile, ricordo di esserci arrivato a piedi. Già in lontananza, il rivestimento dello stabile (ancora non te ne rendi conto: vetro o acciaio?) mi dava fastidio perchè rifletteva il sole. Avvicinandomici, poi, ricordo nettamente il lungo squarcio che attraversa lo stabile: una ferita.
Ecco, quella ferita – che rispetto – credo sia giunto il momento di non ostentarla.
Concordo con te sul fatto che la bellezza sia soggettiva. È però mia opinione che in questo caso l’intenzione dell’architetto non fosse tanto la ricerca del «bello» quanto quella di mettere a disagio il visitatore, obbligandolo a fare i conti con l’enormità dei crimini commessi. Cosa che sembra riuscita, a giudicare dall’esperienza che descrivi.
Dissento invece del tutto dall’ultima tua affermazione. Primo, non credo si tratti di «ostentazione», piuttosto di «memoria», memoria di fatti successi cosí di recente che numerosi testimoni e protagonisti degli stessi sono ancora tra noi. Oltretutto non è un museo dedicato all’olocausto, ma alla vita degli ebrei in Germania. Che, come nel resto d’Europa, era piuttosto «complicata».
Secondo, credo che il tema sia assolutamente attuale. Non serve certo che io ti ricordi — ma lo faccio lo stesso — che proprio nel Giorno della memoria un illustre(?) giornalista italiano rinfacciava ad un collega tedesco i morti di Auschwitz, tralasciando il fatto che quei morti pesano sulla coscienza di molti popoli complici, ed in particolare sulla nostra, in qualità di «fedeli alleati» della Germania nazista. Ma tralasciando queste insignificanti — ancorché imbarazzanti — liti da bar, vorrei sottolineare che esistono ad oggi governi di paesi membri dell’ONU che negano il diritto all’esistenza tout-court di uno stato ebraico, per esempio.
No, credo che il momento di cui parli non sia ancora giunto. Purtroppo.
E, ancora una volta, la realtà torna violentemente a svegliarci dai nostri sogni di civiltà.
Non in Arabia Saudita, non in Iran, ma nel cuore dell’Europa, nella multiculturale, tollerante, laicissima Francia.
3 responses to “Visit to the Jewish Museum”
Piergi, quel museo architettonicamente lo trovo molto, molto interessante (…bello è una cosa diversa), tuttavia, ogni volta che lo vedo un po’ mi arrabbio: la prima volta che ho visto l’immobile, ricordo di esserci arrivato a piedi. Già in lontananza, il rivestimento dello stabile (ancora non te ne rendi conto: vetro o acciaio?) mi dava fastidio perchè rifletteva il sole. Avvicinandomici, poi, ricordo nettamente il lungo squarcio che attraversa lo stabile: una ferita.
Ecco, quella ferita – che rispetto – credo sia giunto il momento di non ostentarla.
Concordo con te sul fatto che la bellezza sia soggettiva. È però mia opinione che in questo caso l’intenzione dell’architetto non fosse tanto la ricerca del «bello» quanto quella di mettere a disagio il visitatore, obbligandolo a fare i conti con l’enormità dei crimini commessi. Cosa che sembra riuscita, a giudicare dall’esperienza che descrivi.
Dissento invece del tutto dall’ultima tua affermazione. Primo, non credo si tratti di «ostentazione», piuttosto di «memoria», memoria di fatti successi cosí di recente che numerosi testimoni e protagonisti degli stessi sono ancora tra noi. Oltretutto non è un museo dedicato all’olocausto, ma alla vita degli ebrei in Germania. Che, come nel resto d’Europa, era piuttosto «complicata».
Secondo, credo che il tema sia assolutamente attuale. Non serve certo che io ti ricordi — ma lo faccio lo stesso — che proprio nel Giorno della memoria un illustre(?) giornalista italiano rinfacciava ad un collega tedesco i morti di Auschwitz, tralasciando il fatto che quei morti pesano sulla coscienza di molti popoli complici, ed in particolare sulla nostra, in qualità di «fedeli alleati» della Germania nazista. Ma tralasciando queste insignificanti — ancorché imbarazzanti — liti da bar, vorrei sottolineare che esistono ad oggi governi di paesi membri dell’ONU che negano il diritto all’esistenza tout-court di uno stato ebraico, per esempio.
No, credo che il momento di cui parli non sia ancora giunto. Purtroppo.
E, ancora una volta, la realtà torna violentemente a svegliarci dai nostri sogni di civiltà.
Non in Arabia Saudita, non in Iran, ma nel cuore dell’Europa, nella multiculturale, tollerante, laicissima Francia.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9901